CONFLITTI: EVITARLI O AFFRONTARLI ? HBR RISPONDE

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La Harvard Business School ha l'ambizione di laureare manager e avvocati competenti, ma sa bene che nessun bagaglio di conoscenze tecniche serve nel momento in cui non si ha l'intelligenza sociale e relazionale per gestire le situazioni di dissenso, che nelle organizzazioni sono all'ordine del giorno.
Perciò tiene un interessante corso sull'argomento,  di cui vorrei offrirvi la mia sintesi. 

Fondamentalmente ci sono 2 Approcci ai conflitti:
Cercarli, cioè entrarci senza particolare esitazione se provocati, oppure scegliere di rischiare di provocarli per difendere le nostre posizioni  
Evitarli, cioè rinunciare a difendere le proprie posizioni per timore,  tacere se attaccati, dare prevalentemente ragione all'altro.

Qual è il tuo approccio preferito o più naturale?
Lo usi sempre ?
Oppure con alcune persone / circostanze "cerchi" il conflitto,  e con altre lo eviti? 
Cosa ti fa propendere per  un modo o per l'altro?E qual è l'approccio delle persone chiave intorno a te?
Mediamente siamo tutti capaci di usare entrambi gli approcci, però alcuni di noi sono naturalmente più inclini a buttarsi nella mischia, mentre altri cercano di evitare la tensione e il disagio il più possibile.
Osservare la tua modalità preferita o più naturale, ed esplorare (da solo o più facilmente con un coach) le ragioni, le paure, le convinzioni, i valori sottostanti è un lavoro estremamente importante.  Ti invito a intraprenderlo, per sviluppare consapevolezza dei tuoi meccanismi "automatici", che rischiano di attivarsi "sotto la soglia della coscienza" e non sempre in modo utile per te e/o per gli altri. 
E' anche molto importante comprendere, attraverso l'osservazione, l'ascolto o le domande dirette, come è fatta la persona con cui abbiamo a che fare.
Farlo ci aiuterà a definire la strategia più utile.


Se ci ritroviamo dentro un conflitto,  la 1° Strategia utile è rallentare / respirare / prendere le distanze, che ciò significhi lasciare la stanza per un momento, chiedere una pausa, non scrivere quella mail, non spedire quella mail.  A volte non è possibile lasciare la stanza, e allora dobbiamo "fare il vuoto" in noi e prendere le distanze, guardando la situazione da fuori, dall'alto. Questo lavoro del "fare il vuoto" richiede pratica, e dunque va allenato nelle situazioni in cui la possibilità di dilatare i tempi c'è, per poi diventare abili e veloci nell'applicarlo nei momenti più critici.

Prendendo le distanze si possono fare due cose molto importanti.

Innanzitutto si può capire che tipo di conflitto abbiamo di fronte.
La Harvard Business School ne individua 4 tipi, ma in realtà quasi nessun conflitto è chiaramente solo di un tipo.
  1. conflitti di compito
    confusione di job descriptions simili e parzialmente sovrapposte, oppure, più banalmente, poca intellegibilità della richiesta e del compito da svolgere
  2. conflitti di processo
    processi costruiti male, in cui non è chiaro chi fa cosa quando come e perchè, che creano confusione, duplicazione di ruoli, errori, rework 
  3. conflitti di relazione
    stili diversi, modi diversi di comunicare, valori e priorità contrastanti
  4. conflitti di status
    il posto e il peso che ognuno ha nell'organizzazione conta, e per qualcuno proteggerlo conta più che per altri


Poi si può allargare la visione, con curiosità, obiettività e rispetto dell'altro.
Un conflitto è sempre un mix molto articolato di cose: c'è un sistema di valori e di relazioni che incidono sul gioco.
Le domande da farsi ( o da fare direttamente alla controparte se non abbiamo le risposte) sono:
  • cosa è importante per la controparte e perchè?
  • quali sono gli attori o i fattori importanti in gioco?
  • chi sono gli alleati delle parti e i loro obiettivi?

E' fondamentale alzarsi dal terreno di gioco, guardare dal balcone e capire dall'alto  i valori in gioco, le paure, gli obiettivi, le preoccupazioni, con obiettività, senza filtro di giudizio.


Una volta fatta l'analisi, serve Definire con chiarezza il proprio ObiettivoE indispensabile stabilire cosa voglio ottenere, cosa voglio far succedere.E occorre pensare (o meglio, scrivere) il proprio obiettivo, accertandosi che sia:
  • Concreto - che definisca un outcome o un comportamento preciso (non generico) e osservabile (concreto e obiettivo)
    Ecco alcuni esempi di obiettivi concreti:
    Voglio dire la mia lentamente e con voce ferma
    Voglio trovare una posizione condivisa sul tema xyz
    Voglio avere l'ok di Giovanni sugli aspetti a, b, c 
Ecco alcuni esempi di obiettivi non troppo concreti:
Voglio essere calmo
Voglio che ci mettiamo d'accordo
Voglio che la conversazione sia tranquilla
  • Attivo - espresso in modo che dipenda da me, che io abbia un ruolo, altrimenti è un semplice desiderio, un wishful thinking.
    Ciò è fondamentale per le  cose che vogliamo ottenere dagli altri
    Ecco alcuni esempi di obiettivi attivi
    Voglio trovare con Jim una posizione che sia ok per entrambi
    Voglio far in modo che Maria dia una mano ai suoi colleghi
    Ecco alcuni esempi di obiettivi non attivi
    Voglio che Lorenzo mi dia ragione
    Voglio che Franca dia una mano ai suoi colleghi
    Voglio che il conflitto si risolva
  • Positivo - che usi parole o verbi positivi: non dire quello che non vuoi o che vuoi evitare, dì quello che vuoi far succedere
    Ecco un esempio di obiettivo espresso in modo positivo
    Voglio capire le posizioni di Giacomo
    Ecco un esempio di obiettivo non espresso in modo positivo
    Voglio evitare di innervosirmi

    Il nostro cervello non registra le negazioni: se gli diamo un'indicazione negativa, continuerà a vedere quella, cercando di fare il suo meglio per limitarla o ridurla.
    Il nostro discorso interiore si deve concentrare su ciò che vogliamo al posto di quella cosa che desideriamo evitare: cos'è per  noi il contrario di quella cosa ?
    Se voglio evitare nervosismo, cos'è per me l' opposto di nervosismo?  Può essere un monte di cose diverse: indifferenza, curiosità, pacatezza, tolleranza.......etc etc
    Mettere a fuoco a cosa sto puntando, mi aiuta ad arrivarci.
    Altrimenti è come settare sul navigatore dove non voglio andare, invece che dove voglio arrivare


Solo una volta definito il nostro Obiettivo, possiamo scegliere Cosa è utile fare
La Harvard Business School riassume 4 opzioni:
a. non fare nullab. affrontare direttamente il conflittoc. affrontare indirettamente il conflitto (chiedendo l'intervento di altri e valutando chi/come/quando)d. uscire dalla relazione
E' bene valutare i pro e contro per ciascuna di queste opzioni, anche quando ci sembra d'istinto che di opzione ce ne sia una sola.Spesso grazie all'aiuto di un amico, collega o coach possiamo prendere in considerazione un'opzione che a priori escludevamo, proprio per via del nostro approccio preferito (di cui parlavamo sopra) o per via di una visione limitata degli impatti.E' molto importante esplorare gli impatti da diversi punti di vista:
  • su di noi e sugli altri
  • nel breve e nel medio lungo
  • nel fare e nel non fare


Se abbiamo deciso che è utile affrontare il Conflitto,  dobbiamo prepararci alla conversazione.

Alcuni elementi chiave da aver chiari prima di entrare nella conversazione:
  1. il mio obiettivo (vedi sopra)
  2. quali sono le poche cose importanti che voglio fargli sapere:
    "less is more", scegli di focalizzare concetti e parole
  3. quale emozione voglio trasmettergli e fargli provare:
    sarà l'emozione a convincerlo", molto più della logica, perchè è così che funziona il nostro cervello.
    Quale emozione potrebbe essere più utile? Serve definirla nella maniera più granulare possibile: una volta individuata, filtrerà attraverso le parole, il non verbale, la tua voce
  4. che richiesta ho:
    è importante esprimere cosa è davvero importante per me, e chiedere all'altro di avvicinarsi: perciò la richiesta non deve mai essere vaga

Alcune cose da fare attivamente durante la conversazione:
  1. Chiedere e Ascoltare, PRIMA di parlare.
    La prima cosa da fare è dare la parola all'altro, e ascoltare con attenzione, interesse e curiosità la sua posizione.
    Ascoltare di permette di
    - sapere e capire di più dell'altro
    - creare connessione e fiducia
    - far venire voglia all'altro di ascoltare noi
  2. Essere creativi, esploratori, desiderosi di trovare insieme qualcosa che non c'è ancora, che ancora non vediamo
  3. Gestire le tue emozioni
  4. Esprimere con chiarezza e solidità il proprio punto di vista



LE CARATTERISTICHE DI UNA RISOLUZIONE POSITIVAL'analisi fatta nei centri di studio e ricerca di  Harvard di tante dinamiche conflittuali, a livello privato , familiare, economico e politico ha permesso di definire le poche caratteristiche chiave di una "risoluzione positiva" di un conflitto
  • soddisfa in qualche modo gli interessi di entrambi 
  • è fair e ragionevole
  • lascia la relazione intatta - non umilia nessuno, non lascia strascichi

Se si decide che si vuole  affrontare il conflitto, probabilmente è perchè si ha interesse a  mantenere quella relazione.
Il lavoro di preparazione porterà il risultato sperato?
Sicuramente le possibilità di riuscita crescono più si dedica lavoro e focus alla riflessione, al governo di sè, all' apertura all'altro.
Ma nessuno può garantire che funzionerà.
Potrebbe produrre un primo passo.
O non portare niente.
A quel punto si potrà sempre tornare indietro:  rivedere l'obiettivo, rivalutare cosa è utile fare, modificare l'approccio alla conversazione.Il supporto di un coach potrebbe essere molto utile in questo lavoro, ovviamente per i conflitti molto accesi, rilevanti e radicati nel tempo.

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