I NUMERI SENZA UN RACCONTO NON ISPIRANO NESSUNO
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Raccontare storie e parlare di numeri non sono due cose che si autoescludono: devono coesistere per riuscire a comunicare in maniera efficace e coinvolgente.Questo binomio è fondamentale per chiunque abbia un ruolo di leadership, secondo quanto ci spiega abilmente Karen Eber di Eber Leadership Group . Neurologicamente le storie ingaggiano più dei numeriMentre siamo in riunione e ascoltiamo chi sta presentando dei numeri ci sono due parti del nostro cervello attive: l'area Wernicke e l’area Broca. Queste due zone processano le informazioni, e il modo in cui funzionano fa si che dimentichiamo il 50% di quello che ascoltiamo pochi istanti dopo averlo sentito.
Quando ascoltiamo una storia, invece, tutto il cervello “si accende”, e uso questa terminologia perchè i Brain Scan letteralmente mostrano zone che si illuminano. Mentre ascolto qualcuno che mi racconta una storia che lo ha coinvolto, il mio cervello si attiva insieme al suo, le sue emozioni passano a me, e comincio a provarle anche io. Mentre ascolto, si formano immagini nel mio cervello, che io vivo come fossero mie, provando emozioni proprio come se stessi vivendo quella esperienza.Per il cervello ricordare e immaginare sono uguali a vivere. Per questo il cinema è così potente: è in grado di farci vivere delle esperienze come se stessero accadendo a noi nel preciso momento in cui le vediamo sullo schermo. Mentre ascoltiamo una storia automaticamente entriamo in empatia con chi ce la sta raccontando, e più proviamo empatia e sintonia con quella persona, più il nostro cervello rilascia ossitocina, l'ormone della fiducia e della connessione.
Lo Story Telling è tutto qui, ed è evidente, credo, perchè sia una qualità critica per i leader. Non sono i numeri o le informazioni a cambiare i nostri comportamenti, ma le emozioni.Se le informazioni fossero capaci di cambiare i nostri comportamenti, tutti noi dormiremmo 8 ore al giorno e faremmo esercizio fisico quotidianamente, evitando i cibi troppo calorici. Invece non è sulla base delle informazioni che il nostro cervello decide: è sulla base delle emozioni.Le neuroscienze stanno studiando da diverso tempo le emozioni e il processo decisionale degli esseri umani, e hanno compreso molto chiaramente che quando noi decidiamo di muoverci in una certa direzione o di stare fermi lo facciamo sempre per via di un'emozione. Infatti le persone che hanno un danno cerebrale nella zona del cervello limbico o mammario, che è appunto la sede delle emozioni, semplicemente non riescono a decidere, anche se la loro capacità logica elevatissima.Antonio Damasio, neuroscienziato molto celebre, ha confermato queste evidenze nei suoi studi. I dati non parlano da soli, perchè spesso possono avere diverse interpretazioni,e possono essere "piegati" a molti scopi diversi. Ascoltando dei dati ciascuno di noi sarà influenzato dalla sua esperienza precedente, dalle sue aspettative, dalle sue convinzioni e bias, e tenderà a vedere nei numeri quello che ritiene più utile o corretto o vantaggioso.Di sicuro però, i dati sono essenziali, perchè ci aiutano a costruire un racconto efficace, che ispiri e convinca gli altri all’azione.
Come costruire una storia efficace, in cui inserire opportunamente i dati che servono?
Karen Eber ci offre uno schema attraverso cui costruire le nostre storie, al lavoro o fuori, attraverso 3 domande chiave:
Una volta cha abbiamo dato risposta alle 3 domande, ecco gli elementi di una buona storia
Il primo esempio utilizza una metaforaUn CEO stava preparando la sua presentazione per il Company meeting annuale e aveva 45 slide per 45 minuti di presentazione: la ricetta per una presentazione noiosissima, eppure moltissime persone operano in questo modo, mettendo insieme dati e parlandoci sopra.Karen aiutò quel Ceo ponendogli alcune domande che cercavano di andare all'essenza della storia che voleva raccontareQual è il problema che state cercando di risolvere ?Cosa vuoi che le tue persone pensino dopo averti ascoltato?Come vuoi che si sentano ? Cosa vuoi che facciano?Il CEO disse che voleva che la sua azienda conquistasse nuovi mercati per restare competitivaE per coinvolgere il suo pubblico raccontò la storia di sua figlia, che era una ginnasta che stava gareggiando per una borsa di studio e aveva dovuto imparare molti nuovi esercizi, di difficoltà crescente per essere competitiva con gli altri studenti. Il secondo esempio utilizza la storia di una persona direttamente legata al tema.Briana era un college Advisor in università, e doveva presentare i dati che mostravano le alte percentuali di abbandono degli studenti autistici: solo il 20% arrivava alla laurea. Briana voleva convincere il consiglio di istituto ad attivare soluzioni nuove per alzare quel numero. Decise di raccontare la storia di Michelle, una studentessa dal profitto altissimo fino alle superiori, che in università ricevette domande tipo “Dove ti vedi tra 5 anni?” “Quali sono le tue aspirazioni di carriera?” Sono domande già molto difficili per tutti, ma per una persona con autismo sono paralizzanti: Michelle voleva lasciare l’università. Dopo aver raccontato questa storia, Briana spiegò che la ragione per cui così pochi ragazzi autistici arrivano alla laurea non è che non riescono a gestire il percorso di studi, ma che non vengono aiutati nella maniera che a loro serve. Sottolineò i valori dell'università, che sono la passione e il desiderio di aiutare le persone a dare il loro meglio e ad avere successo, e disse che per riuscire nel proprio intento l’Università non poteva avere un approccio “uguale per tutti”. Michelle era un esempio di questo, è Briana lo sapeva, perché Michelle era sua figlia.A quel punto della storia, le persone della commissione rimasero a bocca aperta, e qualcuno addirittura si asciugava le lacrime. Questi due piccoli esempi servono a rappresentare il potere dell’unione di storytelling e dati.Insieme aiutano a costruire idee, e aiutano gli altri a vedere cose che non vedono.E’ fondamentale fare leva su ciò che è importante per chi ci ascolta, toccare le corde emozionali giuste, per permettere alle persone di attivarsi e decidere.E’ evidente che un leader, il cui scopo è proprio quello di attivare negli altri crescita e miglioramento, debba essere particolarmente efficace in questo. Guarda il Ted Talk di Karen Eber
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Quando ascoltiamo una storia, invece, tutto il cervello “si accende”, e uso questa terminologia perchè i Brain Scan letteralmente mostrano zone che si illuminano. Mentre ascolto qualcuno che mi racconta una storia che lo ha coinvolto, il mio cervello si attiva insieme al suo, le sue emozioni passano a me, e comincio a provarle anche io. Mentre ascolto, si formano immagini nel mio cervello, che io vivo come fossero mie, provando emozioni proprio come se stessi vivendo quella esperienza.Per il cervello ricordare e immaginare sono uguali a vivere. Per questo il cinema è così potente: è in grado di farci vivere delle esperienze come se stessero accadendo a noi nel preciso momento in cui le vediamo sullo schermo. Mentre ascoltiamo una storia automaticamente entriamo in empatia con chi ce la sta raccontando, e più proviamo empatia e sintonia con quella persona, più il nostro cervello rilascia ossitocina, l'ormone della fiducia e della connessione.
Lo Story Telling è tutto qui, ed è evidente, credo, perchè sia una qualità critica per i leader. Non sono i numeri o le informazioni a cambiare i nostri comportamenti, ma le emozioni.Se le informazioni fossero capaci di cambiare i nostri comportamenti, tutti noi dormiremmo 8 ore al giorno e faremmo esercizio fisico quotidianamente, evitando i cibi troppo calorici. Invece non è sulla base delle informazioni che il nostro cervello decide: è sulla base delle emozioni.Le neuroscienze stanno studiando da diverso tempo le emozioni e il processo decisionale degli esseri umani, e hanno compreso molto chiaramente che quando noi decidiamo di muoverci in una certa direzione o di stare fermi lo facciamo sempre per via di un'emozione. Infatti le persone che hanno un danno cerebrale nella zona del cervello limbico o mammario, che è appunto la sede delle emozioni, semplicemente non riescono a decidere, anche se la loro capacità logica elevatissima.Antonio Damasio, neuroscienziato molto celebre, ha confermato queste evidenze nei suoi studi. I dati non parlano da soli, perchè spesso possono avere diverse interpretazioni,e possono essere "piegati" a molti scopi diversi. Ascoltando dei dati ciascuno di noi sarà influenzato dalla sua esperienza precedente, dalle sue aspettative, dalle sue convinzioni e bias, e tenderà a vedere nei numeri quello che ritiene più utile o corretto o vantaggioso.Di sicuro però, i dati sono essenziali, perchè ci aiutano a costruire un racconto efficace, che ispiri e convinca gli altri all’azione.
Come costruire una storia efficace, in cui inserire opportunamente i dati che servono?
Karen Eber ci offre uno schema attraverso cui costruire le nostre storie, al lavoro o fuori, attraverso 3 domande chiave:
- Qual è la situazione e perché è importante?
- Qual è la difficoltà ?
- Qual è il risultato che stiamo cercando di raggiungere ?
Una volta cha abbiamo dato risposta alle 3 domande, ecco gli elementi di una buona storia
- una buona storia mantiene un certo livello di tensione
- una buona storia costruisce un'idea
- una buona storia comunica un valore
Il primo esempio utilizza una metaforaUn CEO stava preparando la sua presentazione per il Company meeting annuale e aveva 45 slide per 45 minuti di presentazione: la ricetta per una presentazione noiosissima, eppure moltissime persone operano in questo modo, mettendo insieme dati e parlandoci sopra.Karen aiutò quel Ceo ponendogli alcune domande che cercavano di andare all'essenza della storia che voleva raccontareQual è il problema che state cercando di risolvere ?Cosa vuoi che le tue persone pensino dopo averti ascoltato?Come vuoi che si sentano ? Cosa vuoi che facciano?Il CEO disse che voleva che la sua azienda conquistasse nuovi mercati per restare competitivaE per coinvolgere il suo pubblico raccontò la storia di sua figlia, che era una ginnasta che stava gareggiando per una borsa di studio e aveva dovuto imparare molti nuovi esercizi, di difficoltà crescente per essere competitiva con gli altri studenti. Il secondo esempio utilizza la storia di una persona direttamente legata al tema.Briana era un college Advisor in università, e doveva presentare i dati che mostravano le alte percentuali di abbandono degli studenti autistici: solo il 20% arrivava alla laurea. Briana voleva convincere il consiglio di istituto ad attivare soluzioni nuove per alzare quel numero. Decise di raccontare la storia di Michelle, una studentessa dal profitto altissimo fino alle superiori, che in università ricevette domande tipo “Dove ti vedi tra 5 anni?” “Quali sono le tue aspirazioni di carriera?” Sono domande già molto difficili per tutti, ma per una persona con autismo sono paralizzanti: Michelle voleva lasciare l’università. Dopo aver raccontato questa storia, Briana spiegò che la ragione per cui così pochi ragazzi autistici arrivano alla laurea non è che non riescono a gestire il percorso di studi, ma che non vengono aiutati nella maniera che a loro serve. Sottolineò i valori dell'università, che sono la passione e il desiderio di aiutare le persone a dare il loro meglio e ad avere successo, e disse che per riuscire nel proprio intento l’Università non poteva avere un approccio “uguale per tutti”. Michelle era un esempio di questo, è Briana lo sapeva, perché Michelle era sua figlia.A quel punto della storia, le persone della commissione rimasero a bocca aperta, e qualcuno addirittura si asciugava le lacrime. Questi due piccoli esempi servono a rappresentare il potere dell’unione di storytelling e dati.Insieme aiutano a costruire idee, e aiutano gli altri a vedere cose che non vedono.E’ fondamentale fare leva su ciò che è importante per chi ci ascolta, toccare le corde emozionali giuste, per permettere alle persone di attivarsi e decidere.E’ evidente che un leader, il cui scopo è proprio quello di attivare negli altri crescita e miglioramento, debba essere particolarmente efficace in questo. Guarda il Ted Talk di Karen Eber
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